La strada smarrita del Buon Samaritano

“Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gerico, e incappò nei briganti…” Quella strada esiste ancora oggi. Ha cambiato aspetto nei secoli, ma è sempre lì  a congiungere la collina dove sorge la città di Gerusalemme con le prime propaggini della depressione del  Mar Morto, mille e duecento metri più in basso. Ha sempre attraversato  il deserto, ma oggi in poco più di mezz’ora fai tutto il percorso. Devi chiudere i finestrini della tua auto, accendere l’aria condizionata se non vuoi arrivare giù con la testa che ti fa male, per la rapidità della discesa, dagli ottocento metri della città ai meno quattrocento metri sul livello del mare di Gerico e dello stesso Mar Morto.

Su quella strada oggi hanno ricostruito le mura del recinto e dell’edificio che probabilmente fu una locanda.

“Caricatolo sopra il suo giumento, lo portò a una locanda e si prese cura di lui» (Lc 10,34).Lo definiscono oggi un sito archeologico.  Di certo non assolve al compito di fare memoria della compassione del Buon Samaritano. Proprio di fronte sorge la “scuola di gomme” di un villaggio beduino, che da quando è sorta vive nella precarietà di essere rasa al suolo. Sulla collina che la sovrasta   c’è ora una colonia israeliana, Kfar Adumim, ma i suoi abitanti chiedono che il villaggio beduino venga mandato via e la scuola distrutta. La compassione non c’è in questa terra. Il Buon Samaritano qui ha smarrito la sua strada. Non è una distrazione, ma la cancellazione della compassione dai rapporti umani e soprattutto dalla costruzione del futuro.

Il piano di pace di Trump non è altro che una fotografia del presente, anzi, come si dice oggi, un video-lapse. E’ l’insieme di tante fotografie, scattate anche su quella strada che da Gerusalemme scende a Gerico, negli ultimi quindici anni. Ogni foto appartiene anche alla mia memoria ed è lì a ricordare una storia costruita dai governanti israeliani senza retorica, ma lontano dalla ricerca sbandierata della pace con l’avversario palestinese.

A Gerusalemme, oltre il Monte degli Uivi, c’è il deserto fino a Gerico e quello era ed è territorio palestinese. Quindici anni fa mi chiedevo come fosse possibile la presenza di quella selva di gru e nuovi  edifici, che avevano già un nome, Ma’ale Adumim, e che sorgevano in territorio palestinese a ridosso della periferia di Gerusalemme. Ho letto ieri che qualcuno in Italia lo ha definito un “moderno quartiere”. Una definizione cieca sin all’inizio della storia. La verità era ed è sotto gli occhi di chi vuol vedere. Case e persone, israeliane, per “difendere” con la loro presenza Gerusalemme. Una cintura, una barriera architettonica ed umana che anno dopo anno si è andata estendendo e ramificando. Dopo Gerusalemme, l’obiettivo è diventato proprio la strada che scende a Gerico, una trentina di chilometri  da controllare. Certamente con le armi. Abbiamo imparato così che esisteva una Area C, prevista in via temporanea dagli accordi di Oslo. Una terra formalmente di sovranità palestinese, ma controllata militarmente  e amministrata dall’esercito israeliano. Lo spirito di Oslo era: diamo tempo al tempo, facciamo crescere la fiducia reciproca ed i timori israeliani arretreranno insieme ai loro soldati.

Invece, in quella terra desertica, abitata dai beduini palestinesi, dove gli attentati non sono arrivati, sono invece giunti dietro i soldati  bulldozer ed operai. Hanno costruito strade e case per i nuovi coloni israeliani e le colline desertiche hanno cambiato il loro aspetto. Qualcuno diceva: ma se avanzano i coloni che cosa sarà dello “Stato palestinese”? La domanda non è stata ascoltata. Così anche la compassione è stata spazzata via sulla strada del Buon Samaritano.

Una scuola per evitare altre disgrazie. Questo gridavano le  mamme del villaggio beduino di Khan al-Ahmar davanti alla Locanda, dopo il secondo bambino falciato sulla strada mentre andava a scuola a piedi nel più vicino paese palestinese. La scuola fu costruita, rispettando anche  l’ipocrisia di non utilizzare fondamenta in cemento, per non modificare i principi ed i divieti dell’ Area C.  Fu costruita di gomme, di pneumatici di camion, ma subito fu battaglia legale dello Stato e dei coloni israeliani: la scuola ed il villaggio devono essere rimossi. Perché? Anche  allora spuntò un Piano, di ricollocazione dei beduini. Strano Piano, dove qualcuno decide su un territorio di altri. La scuola ha fatto il suo dovere, ha formato centinaia di bambini ed ha resistito alla demolizione, ma  non il villaggio sottoposto al lento soffocamento amministrativo israeliano.

Intanto, giù a ridosso del Mar Morto, insieme ai soldati hanno trovato casa gli agricoltori israeliani  di nuove e sempre più estese piantagioni di palme, dai datteri grossi e carnosi. Frutti che trovate anche  in Italia, sulle scatole c’è scritto genericamente Israel. La terra palestinese non ha diritto al suo nome. Poco più lontano dalle  piantagioni, si sfrutta invece l’acqua ed il fango del Mar Morto. Nelle fabbriche costruite a ridosso della riva le  etichettatrici ripetono il nome Israel  sulle confezioni di creme e sali esportate in Europa e negli Stati Uniti.

Da Gerusalemme a Gerico, ormai la strada è stata trasformata in una autostrada. Le colline sono ormai colonie israeliane. La terra palestinese divisa in due parti, da unire se proprio necessario con un tunnel o un ponte. La terra e l’acqua nella Valle del Giordano infine non appartengono  più ai palestinesi.

Quante fotografie da porre una accanto all’altra! E molte ormai  sono anche sbiadite. Nel suo album, nel suo piano di pace Trump le ha messe insieme, ha costruito un mosaico con le fotografie, incollando i tanti tasselli tutti così simili al caso della “scuola di gomme”. Non ha cambiato le didascalie, le ha solo tradotte quando necessario dall’ebraico in inglese.

Possiamo chiederci: dove eravamo noi quando tutto ciò accadeva? Molti politici italiani, ma anche più di un giornalista potrebbe rispondere: dalla parte del più forte.

Il Piano di Trump è lungo 181 pagine, io sono stato più conciso.

La foto ritrae le piccole studentesse della Scuola di Gomme. A costruirla, la Scuola, è stata una ong italiana, Vento di Terra. La storia la trovate tutta sul loro sito, e anche le foto.

 

 

2 commenti su “La strada smarrita del Buon Samaritano”

  1. Mi accorgo di non conoscere nulla di questa realtà
    Ed è la misura di quantiavveninenti non conosciamo anche se pensiamo che leggere il quotidiano ci aiuti

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  2. Ricordo quella strada:la feci con mia moglie – in viaggio di nozze nel lontano 1976.Ricordo che passammo davanti a ciò che rimaneva di una casa, forse la locanda dove fu portata la persona soccorsa dal buon Samaritano. Ricordo anche che ci fermammo in un punto del deserto sopra un profondo canyon dove da lontano si riconosceva un monastero scavato nella roccia (non ricordo il nome) ed un po’ più distante una cascata di verde :si una cascata di verde in mezzo al deserto… impressionante. Come il deserto :niente sabbia, tutto rocce e sassi!
    Poi, scendemmo a Gerico. Anche qui, impressionante vedere la Gerico vecchia, quella da cui furono costretti a scappare i palestini nella guerra del 67’…e poi il sicomoro, quello di Zaccheo, secondo la tradizione.
    Ancora mi commuovo a ripensare a quel viaggio, a quei posti, a quei sassi, a quei bambini che a Gerico ci vennero vicino in cerca di elemosina, ma ci fu sconsigliato di farlo… Tornato in Terra Santa, tutto quel panorama, quel percorso quei luoghi… tutto era cambiato, molto diverso,poco emozionante e attraente.

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