Questa domenica, noi cattolici e Gaza

Anche oggi, Papa Francesco ha utilizzato i luoghi e il tempo di cui dispone per invitare tutti, anche noi cattolici, a non dimenticare le terre sconvolte dalla guerra. Ha fatto di più: in Piazza San Pietro dopo l’Angelus, ha sottolineato la brutalità della guerra. “E’ triste vedere come nella guerra, in qualche parte, – ha ricordato Papa Francesco – si distruggono gli ospedali e le scuole.” Davanti a questi fatti, ci chiede oggi il Papa, bisogna risvegliare le proprie coscienze. Per raggiungere questo scopo non rifugge dall’usare parole chiare e forti. “Vediamo ogni giorno immagini di bambini massacrati! Troppi bambini! Preghiamo per la pace.”
A noi cattolici, tutti, laici, religiosi, preti e vescovi, il Papa chiede di pregare, ma non per tacere e continuare a chiuderci nel silenzio. Non lo fa Lui, non dobbiamo farlo noi. Ci chiede, innanzitutto, di vedere: quelle immagini crude ma vere, che talvolta noi vediamo, ma che più spesso, come nel caso della guerra a Gaza, ci vengono precluse da chi dirige le fonti di informazione, in primo luogo i canali televisivi pubblici e privati. Immagini precluse con la motivazione che, talvolta, sono troppo crudeli o perché “la gente non le vuole vedere”. Invece il Papa ci dice, a modo suo, che Lui le vede perché servono per formarsi un giudizio su quello che realmente sta accadendo. Per questo è nostro dovere di cattolici non rifuggire da quello che è necessario vedere (proteggendo ovviamente la sensibilità dei minori). Anzi, quando vediamo o leggiamo un racconto della guerra come fosse un “gioco” di guerra, di soldati in marcia e di bombardamenti, privo di drammatiche conseguenze umane, allora dobbiamo essere vigili, capire che ci precludono la verità con lo scopo di prolungare la guerra, perché non ci sarebbe alternativa.
Il Papa, inoltre, ci chiede di pregare per la pace. Quella pace che riguarda tutti, come d’altra parte la sofferenza. Né i cattolici possono pensare che nella sofferenza ci sia un modo di evitarla proteggendo, soprattutto, e in primo luogo, i nostri compagni nella fede cristiana. Aiutare e proteggere i cristiani di Gaza, barricati nella loro parrocchia, non può divenire un alibi, per tacere davanti al più grande massacro, quotidiano, che si compie oltre le mura del complesso parrocchiale. Non lo fa il Papa, che pure oggi giorno cerca di comunicare telefonicamente con i fedeli di Gaza, ma sempre parla, pubblicamente, guardando alla sofferenza di tutti. Non lo devono fare, dunque, per timidezza o autocensura, i laici cristiani, né i preti, né i vescovi. Neppure quando la nostra carità cristiana riesce ad aiutare alcuni feriti, cristiani e musulmani, dobbiamo dimenticare , come ha detto un medico del Bambin Gesù di Roma, che il nostro aiuto è oggi “una goccia nel mare dei bisogni”. Quel mare che richiede di essere affrontato anche con la parola e la profezia, non invece adagiati impotenti sulla riva, ma con la coscienza apparentemente salva.

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